Gazira Babeli nasce in Second Life il 31 marzo 2006, e da allora agisce colà facendone il proprio luogo appropriato,
cui le mostre nelle gallerie di qua offrono nulla più che una porta d'accesso.
Non è il doppio di qualcosa che sta o vorrebbe stare dal nostro lato dell'esperienza: nasce là, per là, pensando come là
si conviene, prendendosi gli spazi di autonomia che quei codici e quei contesti istituiscono e rendono agibili: ma mostrandoci
i varchi e gli inghippi in cui s'inceppa proprio la nostra esperienza di qua.
Le sue azioni si basano su una sorta di doppio confliggente registro: una sorta di visività lussureggiante, proliferante,
mobile, che enfia a ridondanza feroce e discrepante il nuovo immaginario del popism, e un nitore intellettuale, un'acribia
definitiva che ne fa la discendente perfetta della genia più caustica del '900, da Duchamp a Fluxus. Statements come "ami la
pop art, ma la pop art ti odia", le operazioni in secondo grado su Klein o Fabro, il gioco - gioco - di collisioni colte di
Who's Afraid of Madeleine, Batszeba and Simonetta?, il luddismo fastoso di Singing Pizza sono alcune delle prove
della sua già non esile antologia. Della cultura web nutre e coltiva nel proprio agire soprattutto il dandysmo geniale dei padri
fondatori degli atteggiamenti devianti: il pensare se stessa come virus intellettuale, che si insinua nelle pieghe stereotipate
del luogo comune culturale corrente e le tende sino a schiantarle, facendoci constatare la loro luccicante inanità: dimostrandoci,
soprattutto, che le rovine, i rottami che restano alla fine del gioco, non sono alla fine qualitativamente differenti dalla
macchina di senso quand'era all'apparenza funzionante.
Ultima considerazione: che una tra le esperienze meno ovvie sulla corporeità e la sensuosità la ricerca contemporanea le
debba a un'artista che abita in Second Life, dovrebbe far trarre qualche deduzione non inopportuna.
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