Gazira Babeli
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Quattro domande a Gazira Babeli
Mario Savini, Extrart aprile/giugno 2008
 

Appena si arriva nell'isola Locusolus di Second Life, l'attenzione cade su un monumentale rubinetto, simile ad un faro, che illumina il terreno con i materiali più strani. È una specie di discarica che, senza differenze, stilla rimasugli di ogni tipo come a liberarli dalle loro funzioni. Dopo una giostra può precipitare un tronco d'albero oppure un hamburger o, ancora, una bicicletta seguita da una cassa di legno. È Ursonate in SL, un lavoro di Gazira Babeli. Questo singolare personaggio è avvolto d'austerità tra abiti neri, occhiali scuri ed un cappello a cilindro calcato in testa. Nata il 31 marzo 2006, l'artista si descrive come "una sorta di Buster Keaton, dove le cose fuori prendono vita propria e tornano da te per interrogarti senza troppe cortesie". Nella sua ricerca, infatti, gli oggetti perdono il loro scopo pratico per trasformarsi in scomode trappole. In questo angolo di mondo, il pensiero va a Man Ray, ai caratteristici "cadeau" destinati a deludere chi li riceve e a sgretolare le idee associate alle forme. Gaz', come si firma Gazira, coltiva un'ironia giocosa, ma sottile, disseminando icone pop pronte a sovvertire ogni regola estetica. Le lattine di zuppa Campbell's, enormi rispetto alle proporzioni usuali e ben disposte in una composizione, diventano, ad esempio, ingranaggi di una particolare macchina che nasconde tentacoli. D'altronde ogni corpo è materia che può essere rielaborata e manipolata per creare nuove realtà. Niente, perciò, può essere salvaguardato. Con i suoi progetti, si ha l'impressione che Gazira Babeli voglia rinunciare a qualsiasi tipo di linguaggio formale. A volte, anche alla sua identità.

Mario Savini: Gli avatar delle realtà parallele sembrano tipici assemblaggi in stile Dada. Viene in mente "La testa meccanica" di Raoul Hausmann, un'identità immaginaria composta da accessori "insignificanti". Nello specifico, chi è Gazira Babeli? È un'identità immaginaria?

Gazira Babeli: Sì, Hausmann! La testa dove i pensieri stanno "fuori". Oppure De Chirico, dove un biscotto e un monumento hanno lo stesso peso formale, e dove le città si possono abbandonare in un cassetto. In questa prospettiva, Gazira Babeli potrebbe essere una sorta di Buster Keaton, dove le cose "fuori" prendono vita propria e tornano da te per interrogarti senza troppe cortesie... Dove le bucce di tutte le banane che hai mangiato vengono a cercare i passi delle tue scarpe. Dove le ruote cercano i bastoni perché stanche di girare a vuoto. Credo che un'identità sia sempre reale nelle scelte, negli atti e nelle opere, ma nella percezione diventa immaginaria. Il contesto ed il linguaggio la trasfigurano. Se dico Beuys, evoco immediatamente un cappello di feltro ed una giacchetta di tela. Sono accessori "insignificanti", ma trasfigurati insieme alle opere ne diventano quasi via di accesso. Una porta aperta proprio dalla mancanza di significato. In un mondo-sistema già nato "virtuale" questa trasfigurazione di atti e opere diventa consapevole e radicale, rivelando tutta la "virtualità" di ciò che per comodità chiamiamo reale. Nel lavoro Buy Gaz 4 One Linden Dollar, mettevo in vendita, per pochi centesimi, il set completo della mia apparenza: corpo, vestiti, accessori eccetera. Non intendevo certo dare un valore simbolico alla mia identità, ma il giusto prezzo alle 'problematiche' sull'identità virtuale.

MS: SL è un mondo che ti cattura, una visione globale di pensieri e modi di fare. Da Le città invisibili di Calvino, però, si legge che "D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda". Quale risposta continua a legarti a questo "luogo"?

GB: La risposta esatta è 42, o forse 77, o forse meno di 7 persone vere che accidentalmente possiedono un avatar. Loro sono la mia città reale. Immagina di essere un'artista e di avere un'audience nel cassetto, nello lo stesso cassetto dove tieni e produci idee, atti e opere, un pubblico di qualità internazionale sempre a tua disposizione. Persone molto esigenti che, all'occasione, non si fanno scrupolo a dire: "il tuo ultimo lavoro mi sembra una stronzata". Le altre città, al massimo, mi risponderebbero: "carino, interessante, funziona".

MS: In SL la materialità di un prodotto è irrilevante. Ciò che conta è la quantità di informazioni che esso riesce a veicolare. Hai affermato, infatti, che "gli avatar faranno crollare l'industria cosmetica". Si può dire che siamo di fronte ad un grande processo di migrazione simile a quello che è stato messo in atto dalla rivoluzione industriale?

GB: Se il mondo non fosse in larga parte "immaginario", gli dei e il marketing non sarebbero mai esistiti. L'informazione digitale tende a moltiplicare esponenzialmente questo fenomeno. Trecentomila MP3 scaricati non rende immateriale la musica, che lo è da sempre; non rende neppure immateriale il supporto, i dischi giravano e gli hard-disk girano pure. Quel che diventa davvero immateriale è la nostra consapevolezza di poterli ascoltare tutti. Il tempo. La battutaccia sull'industria cosmetica riguardava il tempo che tende a non passare. È lui il grande emigrato altrove. La migrazione di cui parli è alle nostre spalle, ma noi continuiamo a vederla "di fronte". Gates non ha mai scelto i nomi a caso: Windows, Vista... Una vita reale con vista sulle vite virtuali, sempre altrui.

MS: Parliamo del tuo lavoro Gaz' of the Desert (marzo 2007), il primo film in alta definizione interamente girato in SL. Quanto c'è di autobiografico?

GB: Non poco. Avevo davvero costruito il deserto per trovare un po' di pace visuale, ma in poche ore è diventato un punto di ritrovo. Ho dovuto inventare una scusa: "per cortesia, ve ne potreste andare che vorrei girare un film?". Così è stato, il resto è storia.


 
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